“CHE GENERE DI LINGUAGGIO”
Nella giornata di ieri ho potuto partecipare a “Che genere di linguaggio”, un seminario organizzato dalle Politiche di Genere CGIL con introduzione di Esmeralda Rizzi, le relazioni di Graziella Priulli, Vera Gheno, Eleonora Pinzuti, Paola Di Nicola, Stefania Cavagnoli, Oria Gargano e le conclusioni di Susanna Camusso.
Una giornata di studio che mi ha consentito di imparare cose nuove e approfondire alcuni concetti di cui ero già a conoscenza sull’argomento LINGUAGGIO, che ritengo fondamentale affrontare affinché ci sia un vero cambio di passo nel raggiungimento della parità di genere.
Il linguaggio è sempre stato androcentrico, costruito cioé da voci, da corpi e da esperienze maschili (G.Priulla) e poiché la lingua rappresenta la società, essa cambia, si evolve nel tempo così come la società. Il cambiamento non è programmato, avviene se c’è qualcuno, meglio se un soggetto collettivo, che si fa portatore di una istanza.
Riporto qui alcune buone pratiche che tutte e tutti noi dobbiamo assumere d’ora in avanti, se vogliamo fare parte del cambiamento (regole già teorizzate da Alma Sabatini nel 1987 e riproposte ieri da Vera Gheno):
– evitare gli articoli davanti ai cognomi di donne (ad es. non utilizzare “la Merkel”);
– evitare di nominare le donne per nome, invece che per cognome;
– usare i femminili previsti dalla lingua italiana per ogni professione;
– non creare ibridi assurdi che la lingua italiana non prevede (ad es. la ministro);
– ove possibile, preferire il femminile al suffisso -essa (ad es. la vigile al posto di vigilessa), ma continuare ad utilizzare i termini già in uso col suffisso -essa (ad es. professoressa);
– in presenza di più persone valutare la maggioranza oppure usare la doppia forma (ad es. Ciao a tutte e tutti);
– ove possibile, preferire una formulazione semanticamente neutra (ad es. persona o individuo al posto di uomo).
Nominare e usare le forme corrette nel linguaggio signifca riconoscere l’esistenza di una persona, di una cosa o di una professione; noi tutte e tutti abbiamo bisogno di una lingua valorizzante in cui ognuna e ognuno si senta valutata e valutato in quanto soggetto.
Rachele Berto
Coordinatrice Regionale Fisac Donne Veneto
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