08 Congedo di maternità e paternità 07 Al lavoro fino al parto (legge di bilancio 2019)

Con la Legge di bilancio 2019 n.145 del 30 dicembre 2018 comma 485 è venuto meno il divieto di adibire al lavoro le future mamme nel mese che precede la data presunta del parto.
Attraverso questo provvedimento è stato infatti modificato il Testo Unico sulla maternità e sulla paternità prevedendo per le lavoratrici la possibilità di non assentarsi dal lavoro neppure per un giorno prima del parto, ma esclusivamente nei 5 mesi che seguono tale evento.

Nell’art. 16 del vigente D.Lgs. 151/200, la Legge di Bilancio 2019 introduce il seguente comma 1.1:
“1.1. In alternativa a quanto disposto dal comma 1, è riconosciuta alle lavoratrici la facoltà di astenersi dal lavoro esclusivamente dopo l’evento del parto entro i cinque mesi successivi allo stesso, a condizione che il medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato e il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro attestino che tale opzione non arrechi pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro.”

Quindi condizione richiesta è “che il medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato e il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro attestino che tale opzione non arrechi pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro”.

La norma (che in qualche caso potrà anche soddisfare l’esigenza di qualche mamma di avere più tempo da trascorrere con il bambino dopo la sua nascita) nasconde però almeno due aspetti critici che meritano qualche considerazione.

RIDUZIONE DEL PERIODO COMPLESSIVO DI ASSENZA PER PARTI DOPO LA DATA PRESUNTA

Secondo la disposizione già in vigore (che comunque rimane valida, fatte salve le considerazioni di cui al paragrafo successivo) il parto avvenuto dopo la data presunta determina il superamento dei 5 mesi di assenza complessiva: infatti, a fronte di un allungamento del periodo antecedente il parto, si mantiene il diritto/dovere a un successivo congedo della stessa durata originariamente prevista (qualora invece il parto avvenga prima della data presunta, i giorni non fruiti durante la gravidanza sono aggiunti al periodo di congedo di maternità dopo il parto).

La nuova norma prevede in ogni caso un limite di 5 mesi complessivi.

Per maggiore chiarezza ricorriamo a due ipotesi, riferite al caso di una lavoratrice per la quale il parto dovrebbe avvenire il 1° febbraio (data presunta), ma il cui bambino nasce invece il 10 febbraio.

Prima ipotesi: la lavoratrice si avvale della forma di flessibilità già prevista, limitando a un solo mese l’assenza prima del parto, per usufruire di 4 mesi di congedo dopo la nascita del bambino. Pertanto si assenterà dal lavoro a partire dal 1° gennaio. Nascendo il bambino il 10 febbraio la lavoratrice avrà diritto al congedo per 4 mesi dopo la nascita, quindi fino al 10 giugno, e l’assenza complessiva sarà di 5 mesi e 10 giorni.

Seconda ipotesi: la lavoratrice ricorre alla nuova norma e rimane a lavorare fino al parto, quindi fino al 9 febbraio. Avrà poi diritto a 5 mesi dopo il parto, congedo che si concluderà quindi il 10 luglio: l’assenza complessiva sarà di 5 mesi e 1 giorno (quello del parto).

RISCHIO DI SUBIRE PRESSIONI DA PARTE DEL DATORE DI LAVORO

Più grave dal punto di vista della salute della mamma e del bambino appare però il rischio che – soprattutto le donne con rapporti di lavoro precari e non tutelati – possano subire eventuali pressioni da parte del datore di lavoro, affinché ritardino la fruizione del congedo, nel caso per esempio in cui l’ultima fase della gravidanza coincidesse con un periodo di attività lavorativa particolarmente intensa: con la conseguenza che quella dovrebbe essere un’opportunità, frutto di una libera scelta, si possa tradurre in un’imposizione.
Per questa ragione la CGIL ha espresso una posizione critica rispetto al cambiamento normativo, ritenendo non sufficiente aver previsto il rilascio di attestazioni mediche, le quali potranno comunque essere condizionate dal rischio che una lavoratrice, preoccupata per il proprio futuro lavorativo, minimizzi o neghi una condizione di affaticamento o eventuali disturbi che non andrebbero invece sottovalutati.